lunedì 14 giugno 2010

Quel maledetto Terzo Ponte...

Sta passando sotto un assordante silenzio dell'opinione pubblica l'ennesimo e inaudito scempio ecologico-ambientale nel nostro paese, sorretto e giustificato dal mai intoccabile dogma dello Sviluppo.
Questa volta la vittima prescelta è la provincia di Cremona, che, quasi incurante, si ritroverà a subire un gigantesco ecomostro sul proprio territorio. Il caso di Cremona è emblematico per mostrare la prassi consolidata di imporre sulla testa delle comunità infrastrutture faraoniche dall'impatto ambientale ed esistenziale devastante per il profitto di pochi. Una vicenda che merita di essere illustrata a fondo. Il progetto definitivo della nuova infrastruttura, (il cosiddetto "Terzo ponte sul Po"), voluto dalla società Autostrade Centropadane, prevede la costruzione di un raccordo autostradale a pagamento di 12 km che collegherà le province di Cremona e Piacenza, e di un nuovo ponte di 200 metri con i piloni in acqua sul Po, attraversante la zona golenale e circa 9 km del territorio rurale di Castelvetro Piacentino.
L'impatto previsto sarà devastante.
Oltre alla sottrazione di suolo ( quasi 300 ettari di aree golenali, zone agricole di pregio) con frazionamento e inutilizzabilità delle aree agricole, verranno stravolte tre aree protette dalla UE, frammentati 1000 ettari di habitat di riproduzione e perduti decine di migliaia di animali tutelati (uccelli e pesci). Per chi non lo sapesse a poche centinaia di metri da quella zona, grazie alla previdente opera di pianificazione urbanistica e territoriale delle precedenti amministrazioni, a Cremona sono state autorizzate negli anni una raffineria (Tamoil), un deposito di gas liquefatti (ABIBES) e un impianto per l'imbottigliamento GPL (Liquigas), tutti stabilimenti classificati dal Decreto legislativo 334/99 Seveso-bis come categoria C, luoghi in cui sono presenti sostanze pericolose in quantità tali da costituire un rischio d'incidente rilevante”.
Oltre a ciò, per non far mancar nulla, nella stessa zona si sono autorizzate anche la ditta SOL ( produzione deposito ed immissione in bombole di gas liquefatti), l'oleificio Zucchi, il tubificio e l'acciaieria Arvedi ( recentemente ampliata con relativa discarica da 250.000 metri cubi) e i silos di materiali plastici della multinazionale Katoen Natie.
Il tutto si trova ad una distanza risibile dal centro abitato, tale da compromettere la compatibilità con una minima qualità di vita. Nemmeno un progettista folle avrebbe potuto far di meglio! A questo punto, pensare di far passare in mezzo a questa polveriera un raccordo autostradale a sei corsie largo fino a 50 metri è veramente troppo. Lo scopo di tutto ciò è il solito, quello di snellire il traffico pesante e non e di velocizzare il trasporto di merci, in una zona non particolarmente intasata, visto che conta circa 3000 veicoli al giorno (ridotti del 10% negli ultimi anni). Il progetto 2005 prevedeva un traffico al 2020 di 12.000 veicoli/giorno; quello del 2008 ha spostato al 2033 le stime, aumentando il flusso a 43.000 veicoli/giorno. Addirittura il progetto definitivo del 31/03/10 non cita alcuno studio aggiornato sui flussi di traffico! Questo progetto dai costi spropositati ( si parla di circa di 200 milioni di euro), guidato direttamente dalla società che costruisce l'infrastruttura ed estraneo a qualsiasi pianificazione territoriale, non ha minimamente preso in considerazione le diverse alternative progettuali esistenti e valide, molto meno costose e impattanti. Nonostante l'ampiezza e l'importanza dell'infrastruttura, quasi nessuno conosce a fondo il progetto, salvo qualche dettaglio a cose già fatte, dato che negli ultimi mesi e anni il coinvolgimento attivo dei cittadini, delle amministrazioni locali e di esperti indipendenti nei processi progettuali e decisionali ha rasentato lo zero. L'unico ente che ha avanzato pesanti riserve è la Regione Emilia Romagna, che ha elaborato un documento di 53 pagine sul progetto, non accolto dal Ministero nel parere VIA. Neanche le varie obiezioni presentate potranno far cambiare le cose, poiché gli stessi vertici di Centropadane hanno detto che non si può tornare indietro.
Se vogliamo, quello di Cremona è uno dei tanti piccoli grandi casi locali, ma mostra perfettamente come stiamo sacrificando e svendendo senza battere ciglio le cose più preziose che abbiamo: salute, ambiente e qualità della vita. Questo modello di Sviluppo basato sulla crescita e sul profitto senza limiti, considera il territorio come una mera risorsa inesauribile e la sua tutela e salvaguardia subordinate ad interessi finanziari e sovente speculativi. Accettiamo un meccanismo deleterio che permette la svendita di un patrimonio collettivo ed esauribile come il suolo e l'aria pulita per far arricchire politici e affaristi vari. Vuoi mettere passare da una sponda all'altra del Po in un attimo senza trovare code, distruggendo però un intero ecosistema? I costi del Progresso, dirà qualcuno. Ma alla nostra vita e al nostro futuro chi ci pensa? I pochissimi ma combattivi che si stanno muovendo contro l'ennesima colata di cemento e l'ennesimo oltraggio al territorio, sono già etichettati come i soliti sfigati ambientalisti, "professionisti del no".
Pazienza noi andiamo avanti.

Marco Ghisolfi

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